Tempo di soluzioni

 

Di Carlo Pelanda (20-1-2009)

 

Ieri è veramente finito il 2008. Oggi inizia il 2009. Il primo è stato l’anno dei problemi che si trascinavano o per la poca chiarezza delle analisi o per la mancanza dei risolutori, tutti in un surreale stato di attesa. Oggi è insediato al governo uno dei risolutori principali sul piano globale, Barack Obama e c’è un’America che si “resetta”, simbolicamente per risolvere la crisi con rinnovato entusiasmo. Ieri, poi, è stata chiarita l’entità dell’impatto recessivo in Europa. Da oggi in poi è tempo di soluzioni.

 Le proiezioni delle tendenze correnti relative all’impatto della crisi erano chiare per i ricercatori anche nel novembre scorso, qui ve le sintetizzai già allora, ma non erano ancora linguaggio ufficiale che implica l’obbligo di tenerne conto. Ora la Commissione europea prevede che nel 2009 l’eurozona soffrirà una grave recessione anche per la conferma del cedimento della locomotiva tedesca, con rischio di caduta del Pil in Germania del 3%. In Italia, per altro recessiva già nel 2008 a causa della crisi precedente generata dalla combinazione tra picco di inflazione e drenaggio fiscale fatto dal governo Prodi tra il 2006 e 2008 (doppio salasso da manuale dell’orrore), si teme una caduta del 2%. Gli altri della zona euro più o meno negli stessi guai, la disoccupazione complessiva europea proiettata a salire dal 7% oltre il 10, tra i 3 e 4 milioni di senza lavoro. Ma dobbiamo credere alle previsioni dopo l’atto, reiterato, di sprezzante sfiducia per gli scenari economici da parte di Tremonti? Non si può prevedere l’evento raro, ovviamente, ma al netto di questo gli strumenti scientifici prendono piuttosto bene le tendenze in atto e possono proiettare con buona affidabilità le conseguenze future di breve e medio termine (18 mesi). Inoltre gli scenari implicano il loro aggiornamento semestrale o trimestrale proprio per includere gli imprevisti. Quindi credeteci, ma non come profezia: alle condizioni correnti capiterà così, ma cambiando tali condizioni lo scenario potrà migliorare di molto, come peggiorare. Quali condizioni? La principale riguarda la ripresa del mercato americano e, conseguentemente, della domanda globale. Pur con elevato rischio di brutte sorprese,  a giugno l’America uscirà dalla crisi, le soluzioni di Obama sono robuste, e ricomincerà a trainare le esportazioni, anche se solo a mezza forza, di tutto il pianeta. Il buon effetto arriverà da noi a fine anno. Tuttavia, se i governi europei facessero di più ne usciremmo prima e senza rischiare i numeri terribili detti sopra. I dati recenti hanno causato un cambio di musica nell’Unione europea. Più risorse anticrisi e di più messe a sistema per moltiplicarne gli effetti di rilancio. La Bce taglierà ancora i tassi, probabilmente non oltre l’1,5%, non basterà, ma almeno mostra reattività.  Hanno capito che è tempo di soluzioni. Per farglielo capire meglio va segnalato che se si realizzano quei numeri detti sopra c’è il rischio di dissoluzione dell’eurosistema. Immaginate milioni di disoccupati, e decine di milioni di impauriti, a cui viene detto che manca il lavoro perché la stabilità dell’euro non permette di liberare risorse stimolative. Sarebbe esagerato temere Bruxelles e Francoforte in fiamme, ma non si può escludere. Le soluzioni europee dovranno essere fortissime anche per evitare l’implosione della Ue e dell’euro. Per noi tale considerazione è perfino più importante perché senza un macropiano straordinario europeo l’Italia bloccata dal debito non ha spazio di manovra. Sarei curioso di sapere da Berlusconi quanti voti pensa di prendere alle europee di giugno, pur ridicola la concorrenza a sinistra, ma più seria quella dei partiti di rappresentanza territoriale a nord e a sud (questo con destino economico orrendo), se non inverte la tendenza di aumento della disoccupazione di 2 punti, dal 6 e qualcosa del 2008 ad oltre l’8%, oggi previsto – ma modificabile - per il 2009 e 2010. Evidentemente non basterà dire, come Tremonti, “la crisi viene da fuori, non possiamo far molto”, “l’Italia sarà meno colpita”. E non basterà imputare la crisi all’avido capitalismo quando in realtà la ripresa dipenderà dalla riaccensione del capitalismo globalizzato e finanziarizzato stesso. Per questo – e prego G. Letta, che stimo, di farlo presente  - già invocai qui una Conferenza sullo stato della nazione: per dirci la verità, per scegliere le soluzioni, per essere nazione che da a mandato al leader di realizzarle. E’ tempo.

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